domenica 13 settembre 2015

Nel segno dei Gonzaga



In chiusura la mostra genealogico-iconografica a cura di GianCarlo Malacarne



I Gonzaga  in mostra al Museo Diocesano di Mantova in un’esposizione frutto di un lavoro di ricerca durato anni, in cui, grazie alla disponibilità dei collezionisti privati, ho ricostruito l’albero genealogico gonzaghesco attraverso i volti dei protagonisti.  

“Gonzaga. I volti della storia” 
è il titolo della mostra, allestita nella Sala delle Colonne del Museo diocesano “Francesco Gonzaga” di Mantova fino al 20 settembre prossimo. Dalla rassegna del 1937 in Palazzo Ducale non si era più vista, a Mantova, una mostra di questo genere, in cui le immagini si leggono in funzione della storia di una dinastia, narrando secoli di fasti e glorie, ma anche di efferati delitti e nefandezze commessi in nome della ragion di stato. Da anni dedico i miei studi a sondare l’universo Gonzaga e ho rintracciato in collezioni private quelle immagini di cui Mantova fu privata durante le note e tristi vicende che causarono la spoliazione delle collezioni Gonzaga, disperse tra musei e raccolte private in tutto il mondo. Immagini che non ritroviamo più, se non in minima parte, nei musei mantovani: i ritratti dei protagonisti della grande stagione del potere. Molti di questi volti sono fortunatamente affidati, oggi,  alla custodia di collezionisti privati, i quali hanno aderito con entusiasmo al progetto che ha dato luogo a questa mostra. Cento gli esemplari presenti tra medaglie, armi, ceramiche, mappe genealogiche e dipinti, i quali ricostruiscono il mondo estremamente sfaccettato della dominazione gonzaghesca, soffermandosi tanto sul ramo principale della famiglia quanto sui numerosi rami cadetti presenti per oltre quattrocento anni sul territorio mantovano e non solo, senza dimenticare il periodo dell’annessione monferrina ed il ramo cadetto di Vescovato, ancora in essere. Il corpus di dipinti, anche di notevoli dimensioni, costituisce una novità assoluta che si svela per la prima volta al pubblico. Uomini e donne del potere che hanno lasciato un segno tangibile sul nostro territorio dialogano con i visitatori guardandoli negli occhi e raccontando la loro storia personale, ricomponendo così, come in un puzzle, le complesse vicende dinastiche che costituirono quel tempo esaltante e mai dimenticato.
È una rassegna che non privilegia esclusivamente il ritratto in quanto tale, ma intende penetrare l’essenza stessa dei personaggi rappresentati, raccontandone la storia e leggendone l’anima. 
Si incontra, ad esempio, la sventurata Margherita Farnese, che causa l’imene corneo fu ripudiata dal marito Vincenzo I; Margherita di Savoia, moglie di Francesco IV Gonzaga, inutilmente sacrificata sull’altare della pace tra le due famiglie, mirabilmente immortalata dal Pourbus; il cardinale Ferdinando, successivamente diventato duca di Mantova, presente in entrambe le condizioni; Giovanni Gonzaga con la moglie Laura Bentivoglio, cadetti di Vescovato, rappresentati su due lattole lignee quattrocentesche; la misteriosa ed inquietante Matilde d’Este, moglie di Camillo III Gonzaga di Novellara, legata per sempre alla nefanda e tragica “acquetta”; Eleonora de’ Medici, moglie di Vincenzo I, ritratta con il primogenito Francesco da Lavinia Fontana; Antonio Ferdinando e Giuseppe Maria Gonzaga, ultimi della schiatta guastallese, immortalati insieme alle mogli là, a raccontare le loro crude storie. Oltre ai dipinti sono esposte alcune mappe genealogiche di eccezionale bellezza e valore documentario, che rimandano a una ricerca effettuata in epoca lontana sulle origini di una grande famiglia, sulle sue diramazioni, sugli imparentamenti, sapienti e finalizzati al mantenimento del potere in tempi oscuri e saturi di pericoli. Un coacervo di dati che, al di là della funzione strettamente documentaria, presentano espressioni artistiche di grande rilievo, come, ad esempio, la pergamena dedicata a Vespasiano Gonzaga del ramo cadetto di Sabbioneta, realizzata intorno agli anni ’50 del Cinquecento, con numerosi tondi fondo oro. Inoltre medaglie in oro, argento e bronzo pertinenti diversi personaggi di Casa Gonzaga, riconducibili ad artisti di conclamata importanza, quali Pisanello, Sperandio, Mola ed altri. Infine, la mostra ospita oggetti di particolare significato: ceramiche, libri, cofanetti, armi, appartenute alla famiglia e recanti inequivocabili segni distintivi che testimoniano storie gonzaghesche di grande spessore e afflato artistico.




























Quello delle opere d’arte esposte al pubblico nella mostra “Gonzaga. I volti della storia” è immaginabile come un viaggio infinito, che dura da cinque secoli e mai si concluderà finché resterà vivo e pulsante il desiderio di penetrare i misteri della storia anche nell’analisi di quei personaggi che in prima persona scrissero sapide pagine di un racconto così saturo di suggestioni da farsi mito. È come una marea che si alza a incutere timore, un’esondazione di sentimenti e di ricordi, un palpitare furioso che induce a correre con la mente ad un tempo lontano, permeato dal mistero che si coglie negli sguardi immobili di coloro che furono grandi ma ora non sono più; di coloro che paiono voler gridare al mondo, rifiutandola, la innaturale immobilità che li rivela ai nostri sguardi desiderosi di vita, di storie. Ritratti che immergono in una condizione di pathos alla quale affidarsi per comprendere e godere di un inusitato livello di comunicazione. 
Come Ulisse mille avventure visse e a lungo vagò per terre e mari prima di tornare a Itaca, la sua isola, la sua casa, così questi dipinti, dispersi in un’oceano virtuale, per un poco ritornano al luogo d’origine, a far parte di una vicenda inalienabile e scintillante che li vide protagonisti ma, ora, in attesa di salpare nuovamente le ancore e vagare nell’Infinito.
Bisogna guardarli quei ritratti. Bisogna soffermarsi a cogliere e far proprio il crogiolo di sentimenti che li pervade, le ansie, le gioie e le angoscie che occhi imbambolati e sguardi increduli rivelano e narrano a chi  desidera andare al di là di ciò che la tela rivela con immediatezza e, a volte, in modo mendace, ingannevole. Andare oltre il mero strato di colore fino ad incontrare l’anima. Non ci si dovrà fermare al mero aspetto fisiognomico o cercare di indovinare il nome del personaggio rappresentato, ma affidarsi ad una riflessione profonda, che mira a cogliere le emozioni che dal ritratto trapelano, abbandonandoci ad una sorta di transfert che ci calerà non soltanto nella storia, ma nel personaggio stesso. Diversamente la nostra resterà un’osservazione sterile, vuota di contenuti. Concediamoci un istante allo sguardo della sventurata Margherita Farnese, che ci riversa addosso tutta la sua greve malinconia e disagio e vergogna. Lei, proiettata per nascita ai fasti più esaltanti della dinastia mantovana, andata in sposa al “duchino” Vincenzo di Guglielmo Gonzaga, invece finita prigioniera senza speranza, sepolta in un convento a scontare il peccato di esistere. Lei, aperta a un divenire gioioso e invece percorsa e umiliata nella sua più nascosta intimità da mani algide e lubriche che cercavano un male oscuro nel quale far affogare i suoi sogni di giovinetta. Lei, per quel maledetto “imene corneo” eletta suo malgrado a protagonista di una storia volgare politicamente dirompente, costretta a chinare il capo davanti alla ragion di stato e morire agli occhi del mondo aristocratico che l’aveva generata. Soffermiamoci a mettere i nostri occhi in quelli incantati e sinistri di Matilde d’Este, consorte di Camillo III Gonzaga di Novellara; subito ci impossesseremo della dimensione di follia che pervase i suoi giorni, e leggeremo nel composto viso diafano e riccioli civettuoli aggettanti sulla fronte e sguardo tagliente e infingardo, la terribile vicenda che accompagnò la sua vita, che la spinse a creare il mortifero veleno che un nome dal suono argentino, leggiadro e incorporeo occultava alla conoscenza, al sospetto, allo spavento: “acquetta”. Forse un fremito ci percorrerà quando incontreremo il ritratto in armi di Francesco I Gonzaga. Il IV capitano di Mantova, uomo cinico e terribile, condannò alla decapitazione, per un adulterio mai commesso, la moglie Agnese Visconti insieme al suo presunto amante, Antonio da Scandiano, appeso per il collo a scalciare al vento, una gelida notte del febbraio 1391. Leggenda vuole che la sventurata Agnese si sia a suo modo vendicata di tanta menzogna e crudeltà, togliendo al suo assassino l’identità visiva che la storia tramanda ai posteri, perché per uno di quegli inintelligibili interventi del fato, l’immagine che del Gonzaga ci è pervenuta pare sia invece riconducibile a lei, all’innocente Agnese, giustiziata perché colpevole di non aver dato al signore di Mantova il figlio maschio che la dinastia pretendeva e di essere feroce nemica di Gian Galeazzo Visconti di Milano, suo cugino, divenuto alleato di Francesco Gonzaga, che gli aveva assassinato il padre Bernabò. Mettiamo i nostri occhi nello sguardo allucinato di Antonio Ferdinando di Guastalla, rapito da morte più che atroce e in quelli dell’altezzosa Teodora d’Assia sua sposa; scrutiamo anche il povero Giuseppe Maria, destinato a chiudere nel nulla una dinastia che fulgide pagine di storia aveva scritto. Sì, bisogna guardarli quei ritratti e cogliere da essi il racconto che il sapiente e fatato pennello di pur anonimi artisti ha saputo consegnare alla storia senza infingimenti, in un inarrestabile processo di immortalità. Bisogna leggere per ognuno le storie sature di pathos che li accompagnano e cogliere nei visi, negli occhi, e nella solo apparente immobilità, il racconto di vite che nel bene e nel male accompagnarono l’incedere di una dinastia tra le più longeve d’Europa, e il desiderio che bocche inesorabilmente chiuse non possono urlare per far sapere al mondo mille misteriose verità e accadimenti e segreti. Intrecci matrimoniali, lungimiranti strategie, politiche inesplicabili e vagheggiate contese in armi, sogni scintillanti a lungo accarezzati e conturbanti chimere inseguite per secoli; ecco cosa esprimono nascostamente quei ritratti, muti ma mai silenziosi,  proiettati ad un livello di comunicazione che si può cogliere soltanto andando oltre l’immagine. Dietro l’immagine. Dentro l’immagine.

GianCarlo Malacarne



Alla mostra aderiscono, oltre a numerosi collezionisti, la Biblioteca Maldotti di Guastalla, il Museo Gonzaga di Novellara, la Biblioteca Teresiana di Mantova e la Collezione Unicredit con significativi prestiti.

Per ulteriori informazioni e prenotazioni:
Museo diocesano Francesco Gonzaga  
Mantova, Piazza Virgiliana 55 
tel. 0376 320602 
info@museodiocesanomantova.it 

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