mercoledì 19 agosto 2009

Testimonianze di semplicità perdute...













Testimonianze di semplicità perdute "saccheggiate" da spezzoni di storie vissute, meravigliosamente raccontate dalla penna del grande Umberto Bonafini, e appartenenti a quella stagione ineffabile e senza tempo della sua gioventù.

Ricordi di un tempo in cui i veri padroni del Grande Fiume eravamo noi, soci della Canottieri Eridano,
che lo solcavamo in barca.


GUASTALLA – C’è stato un tempo in cui eravamo tutti più poveri, ma che ci si divertiva con niente. Era il tempo in cui lungo le rive del Po c’erano poche osterie e le acque del Grande Fiume erano solcate solo dalle silenziose “spighe” della Canottieri Eridano.
E noi, soci della gloriosa società quando la quota costava mille lire all’anno, ci sentivamo davvero i padroni del Po. Era il tempo in cui era ancora possibile fermarci in una lanca a pescare sicuri di non essere disturbati. Era il tempo in cui dai pioppeti della golena non uscivano solo mucchi di rifiuti solidi urbani, ma addirittura qualche fagiano o quale fagianella.
Ferragosto era il culmine di questa vita tra il bucolico e il paradisiaco. Solo allora il Po si animava di forestieri.
Non venivano i reggiani orgogliosi del loro greto dell’Enza. Venivano
i carpigiani che di fiumi o torrente non ne hanno nemmeno l’ombra. Venivano in treno o in bicicletta e ci accorgevamo di loro solo perché, immancabilmente, ogni Ferragosto uno di loro annegava.
“Al n’ha mia vist al pè da tera” - dicesi piede di terra l’improvviso strapiombo per cui si passa dall’acqua bassa a fondali di tre, quattro o cinque metri. Il Po li segnala.
E’ sufficiente guardare il pelo dell’acqua. Se si vede che il colore si fa più scuro, lì significa che c’è un fondale. Ma i carpigiani questo non l’hanno mai imparato. Erano i tempi in cui era ancora possibile rimorchiare una ragazza - sempre noi, soci della Canottieri - farla salire in barca e portarla sulla spiaggia che il Po, fedele alla storia, ma infedele alla burocrazia, era sulla sponda mantovana.
Se l’avventura avrà un epilogo platonico bene, rientra nella tradizione. Se si varca la soglia della felicità allora il
“socio conquistatore” ne dava notizia agli amici e veniva esposta
la bandiera rossoblu della Canottieri.
La lotta - il più delle volte falsa - era ristretta fra i due che si contendevano il titolo di Re del Po: Nino o Osvaldo.
Era il tempo in cui era possibile essere poveri, ma vivere felici.
Erano gli anni Cinquanta dove il neorealismo zavattiniano lo sperimentavamo ogni giorno sulla nostra pelle.
Venne infine il “miracolo economico”.
La lira vinse l’Oscar della monete e cominciarono ad abbondare le Cinque e le Seicento. La cambiale ti cambiava la vita.
E così’ anche la corsa alla modernità arrivò sulle rive del Po.
Doro
e Campanela, usando le pietre del cesso pubblico
smantellato di via Pisacane, fondarono il “Gatto Nero”,
oggi trasformato in ristorante a la page.
Sulla spiaggia, sempre dalla parte mantovana, “Taschen”,
ex pontiere e pescatore di professione, allestiva il proprio Lido:
una decina di baracche, che lui chiamava cabine, appoggiate sulla sabbia, con una di esse adibita a doccia e, essendo il 1961 l’anno centenario dell’Unità d’Italia, le dipinse di bianco, rosso e verde.
Era da poco stato ricostruito il ponte in chiatte distrutto dagli americani nel 1943. “Landen” vegliava sulla sicurezza dei passaggi,
e Chiericati, custode della “Canottieri” replicava alle donne di Correggioverde che urlavano a noi canottieri che “I siur in n’è mai sta vache”, “ma li siuri sè”.

da: Giornale di Reggio (venerdì 14 agosto 2009)

Foto: Una rarissima immagine del Lido Po a Guastalla, datata 1928

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