lunedì 10 novembre 2008

Quella casa di tolleranza croce e delizia dei guastallesi


















la Gazzetta di Reggio — 31 agosto 2008

GUASTALLA. I guastallesi di una certa età sanno bene che, tra le vie del centro storico, ce n'era una assolutamente innominabile nelle conversazioni in famiglia. Nei dialoghi con gli amici, invece, quella strada era spesso oggetto di battute, ammiccamenti e, magari, sogni più o meno inconfessabili. Via San Ferdinando era «appetibile» (o, a seconda dei casi, da evitare come il peccato) perché era la «strada dal casén». Chiedendo l'indirizzo della casa di tolleranza a chi la frequentava (anche senza «combinare» nulla) ci si può ancora sentir dire in automatico: «via San Ferdinando numero 18». I guastallesi, tuttavia, hanno sempre legato quel luogo alla parallela via Cesarea, nota come «Strada Longa», anche se in effetti è più corta della precedente. A mezzo secolo dalla legge Merlin, cui fece seguito la chiusura di tutti i postriboli d'Italia (l'anniversario esatto ricorre il 20 settembre), emerge un nuovo frammento di storia guastallese, spesso nascosto ma mai dimenticato. L'ingresso della «casa» è ancora riconoscibile: nel tratto di via San Ferdinando che collega piazza della Repubblica e piazza Roma c'è una rientranza in corrispondenza della vecchia porta, allora chiusa da un uscio in ferro. Vicino c'era un orinatoio, ora scomparso, così come non c'è più il vicolo che da via Cesarea al purtava drét in casén. La prima a gestire la casa di tolleranza fu una certa «siùra Maria»; la notorietà del luogo era tale per cui a Guastalla dire «Ma va' da la siùra Maria!» equivaleva a mandare più o meno garbatamente a quel paese (o «in casino», come si dice altrove).
Nessuno sa con certezza quando l'attività nacque, ma vengono in aiuto le cronache dell'epoca: in un numero del Popolo di Guastalla del 1914 si legge che la tenutaria fu multata per non aver rispettato gli orari di chiusura la notte del 27 settembre. Si suppone che a quella data l'esercizio fosse avviato da tempo. Alla morte della signora, nella gestione della «casa» subentrò un altro guastallese: i suoi concittadini ricordano ancora come la sua professione ufficiale (forse addirittura segnata sulla carta d'identità) fosse quella di «pescatore», ma tutti sapevano che era lui a provvedere a quanto era necessario all'attività. Quando lui smise di occuparsi personalmente del lupanare, la moglie non volle proseguire (pare preparasse solo le vivande, senza metter piede nell'edificio). Per la prima volta a gestire la prostituzione fu chiamata una maîtresse che veniva dalla Spezia, dove faceva «la vita». La donna era nota come «Loris», e chi l'ha incontrata la ricorda come una vera signora con molto stile. Morì a Guastalla nel 1953 e fu sostituita da un'altra spezzina, che rimase fino alla chiusura dell'esercizio. C'è chi dice che l'attività si spense progressivamente alcune settimane prima del «fatidico» 20 settembre; del resto, nelle memorie di molti, il casino di Guastalla non brillava né per pulizia, né per la bellezza delle prostitute.
Quello di Strada Longa non fu l'unico caso noto di prostituzione a Guastalla: alcuni ricordano che nell'attuale vicolo della Legnara «a gh'era tri casén», per ufficiali, sottufficiali e soldati, mentre di nuovo il Popolo nel 1912 plaudeva alla chiusura di un lupanare in via dei Servi, nelle vicinanze dei tre appena citati. Non mancavano poi le osterie con il zò 'd taula («giù di tavola»), con cameriere che accettavano di soddisfare i desideri di clienti «affamati». Di ciò non rimane traccia; tutto è chiuso dietro a quella porta che, fino a cinquant'anni fa, nascondeva un angolo d'inferno o di paradiso.

Gabriele Maestri

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