Non è un caso che l’affresco di
San Bernardino campeggi negli spazi della comunicazione realizzata da NatDesign per promuovere la presentazione del terzo volume della Storia
della Diocesi di Reggio Emilia - Guastalla
In attesa della serata organizzata nella Basilica di Pieve di Guastalla per le ore 20.30 di giovedì 25 settembre 2014
...per appagare la curiosità potrebbero interessare le note a seguire, tratte dal testo di una ricerca storica condotta da Gianni Dallasta.
[...] L’affresco di san Bernardino, presente sul
secondo pilastro a destra del presbiterio della Basilica di Pieve, restaurato
nel 1995 in occasione del IX°centenario della Sinodo del papa Urbano II, era
stato catalogato dalla Sovrintendente ai Beni Culturali prof.ssa Augusta
Ghidiglia Quintavalle, come pittura emiliana del XV secolo.
La devozione a san Bernardino da Siena
risale più o meno a quel periodo: morto nel 1444 fu canonizzato agli altari nel
1450. Quale fosse stato il suo rapporto con la zona di Guastalla non è
documentato, anche perché non risulta che i francescani fossero stati presenti
un secolo prima della loro venuta presso il convento di San Giorgio (attuale
sede del cimitero urbano), anche se, data la sua presenza a Carpi, sembra che
nel 1418 abbia svolto missioni itineranti a Guastalla e Correggio.
La presenza dell’affresco, in quella locazione, non è giustificata. La chiesa era stata danneggiata e incendiata nel 1557 dagli Estensi che, non riuscendo ad abbattere le mura di Guastalla, da poco fatte erigere da Ferrante Gonzaga, si erano accaniti contro la basilica dove risiedeva la massima autorità della comunità: l’Arciprete con prerogative di Ordinario. Solo nel 1605 la chiesa fu definitivamente ricostruita in stile barocco.
Perciò l’affresco non poteva essere anteriore almeno alla prima metà del ‘500 ma doveva essere stato eseguito nel periodo della nuova edificazione. È il periodo della contesa tra l’arciprete don Lelio Peverari (in latino Piperarius) e Camilla Borromeo, vedova di Cesare Gonzaga e sorella di san Carlo, cardinale di Milano.
La contesa verteva sulle competenze della chiesa guastallese e degli introiti dei lasciti e benefici ecclesiastici.
La presenza dell’affresco, in quella locazione, non è giustificata. La chiesa era stata danneggiata e incendiata nel 1557 dagli Estensi che, non riuscendo ad abbattere le mura di Guastalla, da poco fatte erigere da Ferrante Gonzaga, si erano accaniti contro la basilica dove risiedeva la massima autorità della comunità: l’Arciprete con prerogative di Ordinario. Solo nel 1605 la chiesa fu definitivamente ricostruita in stile barocco.
Perciò l’affresco non poteva essere anteriore almeno alla prima metà del ‘500 ma doveva essere stato eseguito nel periodo della nuova edificazione. È il periodo della contesa tra l’arciprete don Lelio Peverari (in latino Piperarius) e Camilla Borromeo, vedova di Cesare Gonzaga e sorella di san Carlo, cardinale di Milano.
La contesa verteva sulle competenze della chiesa guastallese e degli introiti dei lasciti e benefici ecclesiastici.
Un certo Santino Santini, intorno agli
anni trenta del ‘500, in mancanza di eredi maschi, aveva lasciato un podere al
Consiglio della Comunità (in luogo ora denominato “Terre del Consorzio”) con
l’obbligo annuo di far celebrare un certo numero di messe e uffici funebri
all’altare del SS. Sacramento, pena la perdita del possesso e il suo passaggio
alla chiesa stessa.
Nella necessità di finanziamenti per la
corte di Guastalla e per la costruzione della chiesa dentro le mura della città
(quella che diventerà poi il duomo di Guastalla), non avendo ancora riscosso il
soldo dell’imperatore per il
servizio militare del marito Cesare, morto nel 1565, Camilla Borromeo si fa
dare, a titolo d’imposta, dal Consiglio della Comunità, la rendita del
beneficio Santini, utilizzato anche per l’istituzione del Monte di Pietà contro
gli interessi strozzini dei banchi fenerari degli ebrei. L’Arciprete, che aveva
negato l’autorizzazione di costruire il duomo o chiesa di san Pietro in
castello, essendo sua pontificia giurisdizione (aveva già concesso la
riedificazione della chiesa dell’Assunzione o dei Servi), reclamava la quota
per la celebrazione dei riti stabiliti con i proventi del Consorzio.
La querelle dura
parecchi anni: nel
frattempo il card. Borromeo manda dei suoi vicari (che in seguito
avranno modo di lamentarsi per le scarse risorse economiche) per la
pastorale e
l’Arciprete viene deferito all’Inquisizione per abuso di potere,
immoralità nel
confessionale e omosessualità. Contro le disposizioni del vescovo di
Reggio il
Peverari ricorre a quello di Mantova (sua città natale): viene arrestato
e
portato alla corte inquisitoriale di Bologna. Nel 1580 Ferrante II
Gonzaga,
dopo cinque anni di tiramolla sulle indennità spettanti, concede al
Peverari di
ritornare in sede.
Nel 1585, in seguito alla morte
dell’Arciprete, Ferrante II ottiene dal papa il decreto di istituzione del
Duomo come chiesa principale per la quale chiede un vescovo (dopo che gli
emissari a Roma avevano giurato che il Peverari, prima di morire, aveva
concesso la debita autorizzazione). Non potendo concedere un vescovo per le
scarse entrate della mensa vescovile, Ferrante viene accontentato con un Abate
al quale andranno tutti i titoli dell’Arciprete e al duomo tutti i privilegi
della chiesa guastallese, concessi nel passato dai papi Gregorio V, Urbano II,
Pasquale II e Innocenzo V. Per la mensa dell’Abate si avvarrà di qualche
beneficio della basilica di Pieve. Ferrante II, avendo alle sue dipendenze
Bernardino Baldi di Urbino, suo precettore, lo convince a completare la sua
cultura con gli studi teologici e a prepararsi all’ordinazione clericale.
Nel frattempo le chiese di Pieve e del duomo vanno di pari passo nel registrare nascite, matrimoni e morti all’interno della città, fino al 1588 quando Bernardino Baldi otterrà la nomina pontificia ad Abate.
Nel frattempo le chiese di Pieve e del duomo vanno di pari passo nel registrare nascite, matrimoni e morti all’interno della città, fino al 1588 quando Bernardino Baldi otterrà la nomina pontificia ad Abate.
In quel periodo lavorava a Guastalla,
ad affrescare il palazzo di Ferrante e il duomo, il pittore Bernardino Campi di
Cremona e i suoi collaboratori. L’Abate si fa ritrarre nella basilica ai piedi
del suo patrono san Bernardino da Siena, come benemerenza per i benefici
ricevuti per la mensa. L’affresco, secondo lo stile toscano (origine del Baldi)
dell’epoca, mostra un piccolo personaggio inginocchiato ai piedi del santo, con
la berretta rossa da monsignore in mano. Lo stile pittorico è molto simile a
quello delle opere del Campi che si possono ammirare a Viadana, Reggio Emilia e
Cremona.
Poiché le opere di Bernardino Campi,
esistenti nel palazzo Gonzaga, sono state annullate nei secoli successivi, a
Guastalla rimane ancora questa sua presunta (e ragionata) opera, a
testimonianza di una nuova forma di governo ecclesiastico della diocesi di
Guastalla: da Arcipretura ad Abbazia.
Nel 1828 l’ultimo Abate Giovanni
Neuschel, diventato vescovo di Guastalla, su interessamento di Maria Luisa
duchessa di Parma, Piacenza e Guastalla, per la mensa vescovile ricorrerà
ancora una volta ai benefici della basilica di Pieve. In cambio del beneficio
commissiona una tela per l’ancona dell’altare di sant’Antonio abate al pittore
guastallese Antonio Gualdi.
Con la ristrutturazione della basilica degli anni 1925/30 l’altare è stato demolito e la tela riposta in altro luogo.
Con la ristrutturazione della basilica degli anni 1925/30 l’altare è stato demolito e la tela riposta in altro luogo.