giovedì 29 ottobre 2009
Faiòl, il liutaio di Lentigione.
Nel centenario della nascita di Raffaele Vaccari
un plauso riconoscente al lavoro di quanti, raccogliendo le testimonianze di chi lo ha conosciuto e le tracce indelebili del suo estro creativo, hanno dato corpo all'accattivante volume con (allegato) DVD: Faiòl, il liutaio di Lentigione.
La storia di Raffaele Vaccari, liutaio di Lentigione di Brescello,
è la testimonianza di una esistenza vissuta all'ombra della notorietà
e del clamore, volta all'esercizio di una attività professionale che aspirava a raggiungere i livelli della creatività e della perfezione.
La cura dei particolari, abilmente combinata con la perfezione
del suono rendono inconfondibile tutta la produzione di Vaccari,
i cui violini, soprattutto, ottennero riconoscimenti ovunque,
nonostante la ritrosia dell'artista a partecipare a concorsi pubblici.
Il suo legame con il paese di Lentigione, da cui non si allontanò mai, rimane indelebile nella sua attività. In piena sintonia con il fascino di queste zone, il violino appartiene a quella fetta di territorio sulle rive del Po dove anche il ballo liscio ebbe la sua importanza.
Sono permanentemente esposti nel Museo del Cinema
e del Territorio di Brescello: il laboratorio ricostruito, le foto,
i materiali, gli oggetti dello straordinario lavoro di Raffaele Vaccari.
Per ulteriori informazioni:
Associazione Ente Fiera Lentigione
info@entefieralentigione.org
Video Club Brescello
videoclub@maclor.it
Pro Loco di Brescello
g.carpi@comune.brescello.re.it
martedì 27 ottobre 2009
Le Cattedrali dell'Emilia Romagna
Venerdì 6 novembre 2009,
Reggio Emilia ore 15.00
Chiesa Vescovile di San Filippo Neri
(via San Filippo, angolo via don Zeffirino Jodi)
Presentazione del volume:
Le Cattedrali
dell’Emilia-Romagna
Storia, arte, liturgia.
Lo stato di adeguamento delle Chiese Cattedrali
della Regione Ecclesiastica Emilia-Romagna
alla riforma liturgica del Concilio Vaticano II
a cura di Giorgio Della Longa,
Antonio Marchesi, Massimiliano Valdinoci,
Rovereto, Nicolodi, 2007.
Interventi:
Liturgia e spazio cultuale
prima e dopo il Concilio Vaticano II
Giuseppe Busani
Le Cattedrali dell’Emilia-Romagna:
presentazione di alcuni casi studio
Massimiliano Valdinoci
Le Cattedrali dell’Emilia-Romagna:
adeguamento liturgico
fra conservazione e innovazione
Antonio Marchesi
Le Cattedrali dell’Emilia-Romagna:
la necessità della sperimentazione
Giorgio Della Longa
La Cattedrale di Reggio Emilia:
spazio architettonico ed esigenze celebrative
Mauro Severi
modera:
Giancarlo Santi
Per informazioni:
Ufficio Diocesano Beni Culturali
Curia Vescovile
Via Vittorio Veneto, 6
42100 Reggio Emilia
Tel. 0522.402210
udbce-re@libero.it
www.fabbricaduomo.re.it
lunedì 26 ottobre 2009
Villarotta o Villa dei Cappelli?
Un preziosa fotografia degli anni '50: Cesare Zavattini in visita alla fabbrica dei cappelli di paglia dei F.lli Barbieri in Luzzara.
La tradizione della tessitura dei cappelli di paglia deve molto
a Niccolò Biondo di origini carpigiane. Nel secolo XVI iniziò la lavorazione dei trucioli ricavati a "fettucce" sfilando a mano, con una roncola, tronchi di salice. Vi sono testimonianze scritte, "grida" dello Stato Estense risalenti al 1600, che documentano il divieto d'esportazione della tecnica in altre realtà territoriali. Probabilmente i veri divulgatori della lavorazione del truciolo in loco furono
gli Agostiniani (a Villarotta nel corso del Seicento la fondazione
del convento dell'ordine) che con "il fare la treccia" trovarono una risposta all'esigenza di occupare le fanciulle orfane e alla necessità
di provvedere al loro sostentamento. Nel 1700 si conosce addirittura l'istituzione di una scuola di "Tecniche di lavorazione del truciolo", un'attività sicuramente molto importante per il territorio
e che permetteva di integrare il magro bilancio familiare.
Nelle mappe del secolo XVIII il toponimo "Villa de' Cappelli"
rimarca la tipicità di quell'esclusiva occupazione a Villarotta.
E' stato pubblicato un volume sull'attività della treccia e della lavorazione dei cappelli di paglia, che bene illustra con dovizia
di immagini e di ricostruzione storica, l'attività originata a Carpi
e diffusasi a Villarotta, a Luzzara e dintorni. Da Villarotta il cappello
di paglia venne esportato nelle Americhe, dall'800 (Ditta Angeli Candido) alla prima metà del '900 (Pietro Terzi).
Il volume contiene anche le ultime testimonianze dei truciolai
e degli artigiani villarottesi.
Franco Canova, Cesare Bulgarelli
Treccia Cappello Arte. Dalla "Rotta" alle Americhe
CDL edizione e diffusione opere di cultura locale_2009
€ 24,50
La tradizione della tessitura dei cappelli di paglia deve molto
a Niccolò Biondo di origini carpigiane. Nel secolo XVI iniziò la lavorazione dei trucioli ricavati a "fettucce" sfilando a mano, con una roncola, tronchi di salice. Vi sono testimonianze scritte, "grida" dello Stato Estense risalenti al 1600, che documentano il divieto d'esportazione della tecnica in altre realtà territoriali. Probabilmente i veri divulgatori della lavorazione del truciolo in loco furono
gli Agostiniani (a Villarotta nel corso del Seicento la fondazione
del convento dell'ordine) che con "il fare la treccia" trovarono una risposta all'esigenza di occupare le fanciulle orfane e alla necessità
di provvedere al loro sostentamento. Nel 1700 si conosce addirittura l'istituzione di una scuola di "Tecniche di lavorazione del truciolo", un'attività sicuramente molto importante per il territorio
e che permetteva di integrare il magro bilancio familiare.
Nelle mappe del secolo XVIII il toponimo "Villa de' Cappelli"
rimarca la tipicità di quell'esclusiva occupazione a Villarotta.
E' stato pubblicato un volume sull'attività della treccia e della lavorazione dei cappelli di paglia, che bene illustra con dovizia
di immagini e di ricostruzione storica, l'attività originata a Carpi
e diffusasi a Villarotta, a Luzzara e dintorni. Da Villarotta il cappello
di paglia venne esportato nelle Americhe, dall'800 (Ditta Angeli Candido) alla prima metà del '900 (Pietro Terzi).
Il volume contiene anche le ultime testimonianze dei truciolai
e degli artigiani villarottesi.
Franco Canova, Cesare Bulgarelli
Treccia Cappello Arte. Dalla "Rotta" alle Americhe
CDL edizione e diffusione opere di cultura locale_2009
€ 24,50
sabato 24 ottobre 2009
L'arte dell'intreccio delle "paglie"
Databile tra il 1950 e il 1960 questa testimonianza fotografica
di una trecciaiola molto attenta a quanto le accade intorno, conferma che non vi erano grandi necessità
di verificare con lo sguardo il lavoro svolto meccanicamente
e determinato solo dal semplice tatto delle dita
che intrecciavano i trucioli.
Le donne anziane, le giovani nei momenti di tregua dai lavori pesanti, le bambine per passatempo e anche gli uomini durante la sosta invernale dai lavori della campagna si dedicavano a fare la treccia. Nelle stalle, non v'era filos senza donne che intrecciavano i paioli. C'era anche una Scuola di Treccia, a Villarotta, tenuta dalla Ester di Zachìa, che abitava proprio nelle stanzette della Chiavica dove suo padre era addetto alla custodia: lei accoglieva le ragazzine
e insegnava loro a muovere le "paglie" per fare la treccia e ad usare
i "ferri" per fare le "scapinelle" (calzini).
Un pò dovunque, ci si sedeva su basse seggiole spagliate davanti alla porta di casa, nei cortili, negli ànditi freschi e scuri d'estate, negli stanzini arrangiati alla meglio per stare più caldi (detti fnej o fnilin) d'inverno, o nelle stalle in campagna.
Non di rado si vedevano trecciaiole entrare al cinema col treccino al braccio per non smettere la lavorazione. Si faceva la treccia in ogni momento del giorno, specialmente di pomeriggio e di sera, sempre
in compagnia. Merito delle lunghe trecce era quello di legare le persone in un rapporto amichevole, il treccino fra le dita era come il filo di una trasmittente che non aveva tregua: veloci le dita quanto veloce era la lingua per comunicare notizie di paese, di vicinato, i pettegolezzi, le verità o le mezze bugìe. Fare la treccia era dunque per molte anziane anche un rimedio alla solitudine. Non era certo una fonte di lauti guadagni: solo pochi spiccioli per una treccia di circa 64 metri, che servivano per pagare qualche debituccio, per togliersi un capriccio e, talvolta, per comperare il pane e la pasta.
Si contava sulle velocità delle mani, cioè sul numero di trecce fatte che si riusciva a lavorare in un giorno. Le più esperte facevano trecce con più di tre paioli (fino a 8-10, addirittura!) e guadagnavano di più.
Prima di essere consegnata al truciolaio, la treccia veniva stirata, passata col "cilindar" (slissin o ridlina) e misurata con il "pass"
(al slargà) di un metro, sui cui pioli laterali veniva avvolta per una trentina di giri. L'occhio esperto del truciolaio (o del partidante, che distribuiva le "paglie" alle donne) controllava al ritiro che il lavoro fosse perfetto e contava i mazzoni (slargà) consegnati.
L'attività del truciolo rallentava molto durante l'estate, perchè il caldo asciugava il legno e le paglie con il rischio che si rompessero.
di una trecciaiola molto attenta a quanto le accade intorno, conferma che non vi erano grandi necessità
di verificare con lo sguardo il lavoro svolto meccanicamente
e determinato solo dal semplice tatto delle dita
che intrecciavano i trucioli.
Le donne anziane, le giovani nei momenti di tregua dai lavori pesanti, le bambine per passatempo e anche gli uomini durante la sosta invernale dai lavori della campagna si dedicavano a fare la treccia. Nelle stalle, non v'era filos senza donne che intrecciavano i paioli. C'era anche una Scuola di Treccia, a Villarotta, tenuta dalla Ester di Zachìa, che abitava proprio nelle stanzette della Chiavica dove suo padre era addetto alla custodia: lei accoglieva le ragazzine
e insegnava loro a muovere le "paglie" per fare la treccia e ad usare
i "ferri" per fare le "scapinelle" (calzini).
Un pò dovunque, ci si sedeva su basse seggiole spagliate davanti alla porta di casa, nei cortili, negli ànditi freschi e scuri d'estate, negli stanzini arrangiati alla meglio per stare più caldi (detti fnej o fnilin) d'inverno, o nelle stalle in campagna.
Non di rado si vedevano trecciaiole entrare al cinema col treccino al braccio per non smettere la lavorazione. Si faceva la treccia in ogni momento del giorno, specialmente di pomeriggio e di sera, sempre
in compagnia. Merito delle lunghe trecce era quello di legare le persone in un rapporto amichevole, il treccino fra le dita era come il filo di una trasmittente che non aveva tregua: veloci le dita quanto veloce era la lingua per comunicare notizie di paese, di vicinato, i pettegolezzi, le verità o le mezze bugìe. Fare la treccia era dunque per molte anziane anche un rimedio alla solitudine. Non era certo una fonte di lauti guadagni: solo pochi spiccioli per una treccia di circa 64 metri, che servivano per pagare qualche debituccio, per togliersi un capriccio e, talvolta, per comperare il pane e la pasta.
Si contava sulle velocità delle mani, cioè sul numero di trecce fatte che si riusciva a lavorare in un giorno. Le più esperte facevano trecce con più di tre paioli (fino a 8-10, addirittura!) e guadagnavano di più.
Prima di essere consegnata al truciolaio, la treccia veniva stirata, passata col "cilindar" (slissin o ridlina) e misurata con il "pass"
(al slargà) di un metro, sui cui pioli laterali veniva avvolta per una trentina di giri. L'occhio esperto del truciolaio (o del partidante, che distribuiva le "paglie" alle donne) controllava al ritiro che il lavoro fosse perfetto e contava i mazzoni (slargà) consegnati.
L'attività del truciolo rallentava molto durante l'estate, perchè il caldo asciugava il legno e le paglie con il rischio che si rompessero.
venerdì 23 ottobre 2009
Il Museo della Treccia, una storia nella storia... per il piacere di ritrovare il nostro passato lontano e recente.
Merita anche più di una visita il piccolo "Museo della treccia
e dell’industria del cappello" che a Villarotta, lo storico paese dei "Cappelli di Paglia", finalmente rende omaggio a un mondo ormai perduto e offre una esplorazione inconsueta di quel particolare lavoro artigianale (considerato una vera e propria arte
nel corso dei secoli) che consentiva la trasformazione di paglie sottili (trucioli) di salice e di pioppo in cappelli di treccia di legno.
Nella foto: il Signor
Nullo Ruina, truciolaio villarottese con 50 anni di esperienza sulle spalle, che ha donato
la propria attrezzatura
al Museo della Treccia avendo cessato l'attività nel 2002.
La sede è collocata all'interno della quattrocentesca Chiavica di Villarotta edificata sul Cavo Tagliata e la cui escavazione risalente al 1218 venne tracciata ripercorrendo il vecchio ramo interrito del Po morto da Guastalla a Reggiolo-Moglia-Bondanello.
L'opera idraulica, con paraporti, fu costruita sul Cavo Tagliata
per la funzione di impedire i rigurgiti delle piene del Cavo Fiuma (Parmigiana-Moglia). Indubbiamente il manufatto, realizzato per bonificare i terreni e aumentare la produzione agricola oltre che a favorire il sorgere di nuovi centri abitati, è la principale e più antica testimonianza storica del paese.
Orari di apertura del Museo della Treccia:
Giovedì 9.00 / 12.00
Domenica 14.30 / 17.00
Per informazioni e prenotazioni visite, contattare:
Centro Culturale Cesare Zavattini_Luzzara_(RE)_Tel. 0522 977612
Circolo Fotografico "La Treccia" Tel. 339 7672695
giovedì 22 ottobre 2009
Festival d'Ottobre: "Un Po"
Motonavi, palcoscenici, storie d'acqua, e tigri dipinte a Boretto, Gualtieri e Guastalla:
il mondo di Antonio Ligabue.
Dal 17 al 25 ottobre 2009
La cultura del "Grande Fiume" è parte integrante della coscienza collettiva della gente reggiana. Essa vanta una ricchezza
di elementi e fascinosità che non tradiscono mai chi li voglia scoprire e frequentare. Anche quest'anno il Festival d'Ottobre "Un Po", propone una nuova serie di appuntamenti per "navigare" nelle acque inquiete e costantemente rinnovate dell'arte, della musica, della letteratura, tra i luoghi storici del fiume, i suoi figli e i temi di suggestioni e visioni di questa terra che si modifica e si rinnova.
A ogni piena infatti qualcosa scompare - un sentiero, un vecchio rudere, un tratto di bosco - e qualcosa riappare:
una vecchia barca, la carcassa di un'auto, un tronco primordiale.
Un pò come nella nostra mente: dalla memoria affiorano sentimenti, luoghi, volti ed impressioni.
Per informazioni:
www.biennaledelpaesaggio.it
mercoledì 21 ottobre 2009
Forti sollecitazioni visive e sonore scatenano emozioni profonde come i ricordi.
In questi giorni, nel centro di Guastalla, la possibilità di proiettarsi fisicamente in una installazione artistica davvero unica. C'è tempo fino al 31 ottobre 2009 per regalarsi la visione di una stupenda favola moderna in grado di scatenare suggestioni e regalare emozioni tali da rendere la mostra valevole di essere visitata.
VERONICA MONTANINO
Al Filòs
a cura di Gianluca Marziani
Dal 10 al 31 ottobre 2009
Chiesa Monumentale San Francesco
Strada comunale Giovanni Passerini _ Guastalla _RE_
Mercoledì - Sabato - Domenica ore 10.00 - 12.30 / 15.00 - 18.30
Ingresso LIBERO
martedì 20 ottobre 2009
Ligabue al Festival del Film di Roma
Al Festival Internazionale del Film di Roma (15-23 ottobre 2009), sarà presentato in anteprima mondiale il film-dossier
dedicato alla vita artistica del pittore Antonio Ligabue,
prodotto da Rai Trade, Officina della Comunicazione e Centro Studi & Archivio Antonio Ligabue.
Il film racconta lo stretto rapporto fra il pittore e la sua opera, indagata non solo in termini di valore artistico ma anche come frutto della sua travagliata vicenda umana e del particolare contesto geografico in cui ha vissuto e operato. Un narratore d'eccezione, Flavio Bucci (già Ligabue nell'omonima fiction Rai del 1977) condurrà attraverso i luoghi abitati dal pittore mettendo in contatto il suo passato e i ricordi che ha lasciato nelle persone che hanno fatto parte della sua vita, alternando al racconto anche i frammenti più significativi della fiction di cui egli è stato protagonista e i materiali di repertorio con Ligabue in persona.
Il film dossier "Antonio Ligabue: fiction e realtà",
diretto da Salvatore Nocita, verrà proiettato al pubblico a chiusura della sezione L'Altro Cinema | Extra il 22 Ottobre alle ore 18.30 nella Sala Petrassi.
sabato 17 ottobre 2009
Al Filòs
Prosegue fino al 31 ottobre '09 la magnifica installazione artistica "Al Filòs" di Veronica Montanino che,
attingendo all'antica tradizione contadina,
ci regala una sensazionale favola moderna...
VERONICA MONTANINO
Al Filòs
a cura di Gianluca Marziani
Filòs è un’antica voce del vocabolario dialettale.
Andàr a filòs indicava il trascorrere la serata in casa
o nella stalla di qualcuno.
L’artista ha preso spunto da questa forma di socializzazione della tradizione contadina, caratterizzata da una parte dal racconto di fiabe, aneddoti, leggende, proverbi, canzoni e superstizioni, dall’altra dal lavoro manuale di donne che cucivano e filavano la lana, mentre gli uomini intrecciavano sedie, fiaschi, cesti di vimini. Passare il tempo ma anche tramandare una cultura in cui la gestualità dell’intrecciare, del tessere, del cucire, sia connessa al parlato, al racconto, al ritmo della socialità.
Il progetto di Veronica Montanino ascolta la cultura atavica del territorio, tessendo fili personali che ricostruiscono le lunghe linee comunitarie di Guastalla. Il contesto contadino, la solida tradizione padana e i caratteri peculiari del luogo diventano la grammatica con cui l’artista sviluppa una coerente sintassi visiva. Per farlo la Montanino usa vari linguaggi e li compenetra nel suo teatro installativo dalla forte carica emotiva. L’artista mescola sottili visionarietà e senso plastico in un incrocio tra natura femminile, folklore e fiaba, non perdendo di vista la pulsione urbana, il gioco infantile, l’autobiografismo filtrato.
Tutto ruota, idealmente e visivamente, attorno alla linea, radice del disegnare ma anche flusso fluviale, rettitudine morale, cammino verso orizzonti lontani. Per prima cosa l’artista perimetra la memoria della chiesa con una serie di mensole orizzontali, linee evidenti dentro la linea architettonica della planimetria sacrale. Sopra vi dispone oggetti attinenti alla tradizione e alla fiaba, al contesto della stalla, al mondo animale e vegetale, alle paglie intrecciate, al filare, cucire e ricamare. Un particolare rende gli oggetti tanto diversi quanto vicini: una verniciatura di nero che riveste la loro epidermide d’origine, unificando il contenuto di forme altrimenti disomogenee. L’opera murale ridefinisce l’identità dello spazio e delle comunità contadine che nel tempo hanno integrato la natura nelle abitudini quotidiane del popolo. Le mensole incarnano una ferita rimarginata nel nero, il taglio pulsante della memoria che resiste lungo la pressione del tempo odierno. Sono linee parietali per fermare lo scivolamento verso l’oblio, per rigenerare l’ombra dantesca degli oggetti selezionati. Brandelli di vita che, pur sommersi dal nero profondo, non scompaiono come gocce nel mare. Al contrario, si cementificano quali archetipi lungo il cammino del ricordo, conservano la poesia di quel passato utile che supporta la coscienza del giusto futuro.
Al centro dello spazio si stagliano alcuni parallelepipedi che circoscrivono il nostro sguardo nel cuore dell’installazione.
Chiusa dai moloch primordiali ecco una donna, seduta per terra, mentre avvolge e svolge, intreccia e annoda alcuni fili neri. Agisce con fare casuale e spensierato, quasi un’apparizione mistica nelle sue vesti nere che sconfinano come torrenti d’inchiostro scuro. A parte il volto chino e le mani in azione, tutto il resto è coperto da tessuti che si allargano attorno e oltre la sua carne, verso la pelle scarnificata del luogo. La figura tesse linee che scorrono e crescono, una specie di albero vivente che sviluppa radici e rami nel suo pathos tra memoria e costruzione.
Attorno alla donna ascoltiamo un’installazione audio che mescola voci, suoni concreti e astrazioni sonore. Un eterogeneo tappeto d’ascolto da cui spunta la narrazione di una fiaba della tradizione popolare di Guastalla, miscuglio antropologico tra “Pelle d’asino” (fiaba popolare francese di Charles Perrault) e “Cenerentola”.
A leggerla una voce d’autore (l’attrice Barbora Bobulova) che solidifica le frasi in una sorta di scultura sensoriale dagli echi ammalianti. Parole e rumori si trasformano così in oggetti invisibili eppure pulsanti, “arredando” lo spazio con un nuovo perimetro che “sentiamo” oltre la pelle del tangibile.
Le quattro linee portanti della mostra (mensole, parallelepipedi, corpo, voci) costruiscono una tessitura di pensieri e forme.
Sono una maglia che diventa struttura, un insieme di guide per circoscrivere il presente in uno schema di memorie concentriche.
Le singole linee rappresentano le esperienze individuali; l’insieme di linee costruisce gli schemi collettivi, le storie popolari, la tradizione che si rigenera nel racconto. Dalle linee crescono volumi coi valori universali dell’umanità, corpi invisibili che ragionano sulle tradizioni popolari, sul confine tra conservazione e progresso, sul legame tra natura e artificio. Temi morali che l’artista indaga con rispetto del territorio e delle culture comunitarie, intrecciando vari linguaggi per narrare emozioni mentre si raccontano storie.
Installazione sonora realizzata
in collaborazione con Mickhail Fasciano.
Dal 10 al 31 ottobre 2009
Chiesa Monumentale San Francesco
Strada comunale Giovanni Passerini _ Guastalla _ RE_
Mercoledì - Sabato - Domenica ore 10.00 - 12.30 / 15.00 - 18.30
Ingresso LIBERO
Info:
press@artsinergy.com
tel. 06 83512663
venerdì 16 ottobre 2009
Comunicazione a km zero
Sono comparsi anche per le strade della Bassa i manifesti di una nota azienda di tradizione artigiana che promuove la maestria emiliana nel settore delle paste all’uovo.
La singolarità è nell'approccio comunicativo che ricorrendo
al vernacolo (nel caso di specie, tipicamente reggiano) confeziona l'headline Vàca s'in bòun! per apostrofare un prodotto tipico
del territorio e racchiudere il senso del messaggio.
La traduzione dal dialetto è "Vacca, come sono buoni!"
(riferita ai cappelletti).
L'iperbole "Vacca" è accomunabile a: perbacco, accipicchia, perdiana, acciderba, tutte esclamazioni riconducibili ad una positiva affermazione di piacere.
In ragione della babele di dialetti italiani, la trovata (pur divertente) resta strettamente legata al proprio territorio di influenza linguistica, quindi comprensibile e apprezzabile solo da fruitori autoctoni. Ammirevole comunque l'esperimento che ricorre al dialetto e ne rivaluta la tipica rusticità e la colorita essenza, a tutto vantaggio dell'efficacia espressiva.
giovedì 15 ottobre 2009
Prima Giornata Nazionale AVO
QUESTO BICCHIERE D'ACQUA
HA QUALCOSA DA RACCONTARTI
E' la storia di AVO, Associazione Volontari Ospedalieri,
che da oltre 30 anni e con più di 30.000 volontari e 240 sedi in Italia, offre sostegno e ascolto ai malati degenti e agli anziani ricoverati che ne hanno bisogno.
...Un lamento proveniente da un letto di corsia dell'ospedale del Policlinico di Milano, aveva attirato l'attenzione di un medico che stava attraversando un reparto. Era un pomeriggio dell'estate del 1975 e il professor Erminio Longhini, primario medico dell'ospedale di Sesto San Giovanni, si avvicinò al letto in cui giaceva una donna, che con un flebile ma insistente gemito continuava a chiedere un qualcosa di tanto semplice quanto indispensabile: un bicchiere d'acqua. Il professore vide che nessuno si era avvicinato per accogliere la sua richiesta. Le altre ricoverate erano indifferenti così come l'inserviente, che stava pulendo il pavimento al centro della sala. Quando il medico domandò a quest'ultima come mai non si preoccupasse di portare un po' d'acqua alla povera signora, la risposta fu: "Non tocca a me". Questa affermazione fece a lungo riflettere il professor Longhini e la sera stessa ne volle parlare ad un gruppo di amici, che proprio in quel periodo si ritrovavano regolarmente per cercare di dar vita a "qualcosa" che portasse solidarietà, aiuto materiale e sostegno morale a chi si trovasse nel bisogno.
Questo "qualcosa" si concretizzò nella risposta a quella domanda: "toccava a loro" creare un'associazione di persone che si sarebbero occupate di altre persone, più sfortunate, in condizioni svantaggiate, curate sì con professionalità e responsabilità, ma spesso in ambienti spersonalizzanti che le consideravano solo come "organi malati da curare" o peggio ancora come "numero di posto letto''...
Facciamo festa ai volontari nella
PRIMA GIORNATA NAZIONALE AVO
Sabato 24 ottobre 2009 a Guastalla
Ore 16.00 Palazzo Ducale: musica, intrattenimento,
giochi di prestigio e rinfresco
Ore 18.30 Santa Messa in Duomo
Ore 20.45 Teatro Ruggeri: la Compagnia Dialettale di "San Martino"
presenterà la commedia brillante "L'acumpagnament"
Info: www.federavo.it
mercoledì 14 ottobre 2009
Luoghi d'Acqua
In occasione di Book Days _ i giorni delle biblioteche _
si segnala l'appuntamento di:
CINEMATOGRAFIA DEL GRANDE FIUME
repertorio di film sul Po
a cura di Tullio Masoni
Sabato 17 ottobre alle ore 18.00
presso la Biblioteca Comunale di Guastalla
Info:BIBLIOTECA COMUNALE
Piazza Garibaldi, 1 Guastalla [RE]
biblioteca@comune.guastalla.re.it
sabato 10 ottobre 2009
Dentro e fuori dall'anima
Inaugura oggi alle ore 17.00 presso la Galleria CAMPANON,
la personale di Anna G. Bertani.
...l'artista continua coerentemente ad estrarre dalla natura i suoi più autentici valori, svelandone gli aspetti più reconditi e segreti, quelli che si esprimono con un linguaggio che mette in circuito la sensibilità del riguardante con significati atemporali e assoluti...
Alfredo Gianolio
SEGNI INVISIBILI
Dentro e fuori dall'anima
Galleria CAMPANON
Piazza Matteotti Guastalla [RE]
Orari di apertura: Sabato e Domenica 10.00-12.30 / 15.30-19.00
Altri giorni su appuntamento.
Info: 3389389656
martedì 6 ottobre 2009
Bio-Gadget per un marketing fatto ad arte
Il vivaista Tino Sorino degli Antichi Poderi del Paradiso ha ripercorso la singolare provocazione ispirata dalla celebre opera di Piero Manzoni "Merda d'Artista" (21 maggio 1961) proponendo a Guastalla nell'ambito della recente edizione di Piante e Animali Perduti
un prodotto del tutto particolare.
Stiamo parlando di 1 kg di "Merda d'Asino" prodotta dalla sua affezionatissima asinella Gilda e ben confezionata in eleganti barattoli contrassegnati da un numero progressivo a tutela della tiratura limitata di soli 300 pezzi.
Un gadget singolare per concentrare sulla propria attività l'attenzione delle migliaia di persone intervenute alla manifestazione e offrire con ironia un piccolo saggio di preziosa materia organica per una straordinaria concimazione biologica.
lunedì 5 ottobre 2009
Musica intorno al Fiume
La VII edizione della rassegna concertistica Musica intorno al Fiume, pregevole itinerario culturale alla riscoperta degli antichi organi, approda in territorio guastallese con l'appuntamento di domenica
11 ottobre 2009 a Pieve di Guastalla. Per vivere questa esperienza di grande valore, alle ore 18.00 i suoni dello straordinario organo Serassi (nella foto) si diffonderanno nell'insigne Basilica dei Santi Pietro e Paolo fondendosi in uno splendido abbraccio tra concerto
e luogo di esecuzione.
Marco Granata, organo
Musiche di Buxtehule, Scarlatti,GottfriedWalther
Associazione Culturale "Giuseppe Serassi"
Info: 340 6349601
www.serassi.it
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