Guastalla: Franton muto testimone del cedimento di casa Nobili |
Già pubblicato da Avvenire,
di seguito riproponiamo l'articolo
Rimasti senza storia a firma dell'amico Giuseppe Pederiali che ben "fotografa" l'attuale condizione delle nostre terre basse e sintetizza
lo stato d'animo della gente che ci vive...
provata, ma pronta a non risparmiarsi
per ricostruire il proprio futuro.
Guastalla: vistose lesioni all'ex Chiesa di San Francesco |
Rimasti senza storia
Ci
stiamo accorgendo di quanto sono preziose le pagine di storia che fino a
ieri sfogliavamo quasi con indifferenza, abituati ad averle davanti, ma
senza lo stimolo di andare a leggerle, rivisitarle. Pagine polverose,
con evidenti i segni lasciati dal tempo, ancora belle perché scritte in
epoche che, seppure terribili (e quando mai la storia degli uomini non è
stata terribile?), sapevano perlomeno distinguere il bello dal brutto.
Adesso che il terremoto ha strappato dal libro della Bassa molte di
queste pagine, ci accorgiamo di quanto belle e preziose fossero, e
utili, se non altro per riconoscerci. Arrivavo da Modena a Finale Emilia
e il primo impatto, una sorta di copertina del suddetto libro, ce
l’avevo in Largo Cavallotti,
un tempo Bacino della Chiusa, ovvero il
porto fluviale. Sino alla fine dell’Ottocento: la chiesa di Nostra
Signora della Chiusa, a sinistra la Torre dei Modenesi (quella
dell’orologio diventato famoso per aver voluto, prima di crollare,
mostrarsi spaccato in due, senza lancette, a palla ferma),
a destra,
laggiù, il Castello Estense con la torre Marchesana e il Mastio
dominante. Scomparsi da molti anni il Bacino della Chiusa e la Chiesa di
Nostra Signora (al loro posto: la strada asfaltata con aiuola centrale e
una casa d’abitazione con negozio), mi restavano comunque la Torre dei
Modenesi e il Castello. Ieri. Oggi guardo un cielo senza torri e
campanili, perciò senza storia, senza religione, senza identità. Non un
monumento antico di Finale Emilia, di Mirandola e degli altri paesi
della Bassa si è salvato dal terremoto che sembra aver mirato proprio
alla storia antica, quasi con l’intenzione di cancellarla, ridurci,
anche fisicamente, al villaggio globale che già rischiavamo. L’indomani
della prima grande scossa, a metà via Trento e Trieste, transennata
dalla protezione civile, la troupe di una televisione nazionale ha
piazzato una postazione fissa con la telecamera puntata sulla Torre
Marchesana del Castello Estense (gioiello degli architetti Bartolino da
Novara e Giovanni da Siena), già per metà crollato. I bravi operatori
tv, un poco artiglieri e un poco sciacalli al servizio dello spettacolo,
aspettavano solo che della Torre Marchesana ne crollasse un altro
pezzo.
La seconda grossa scossa del terremoto (forse sponsorizzato da
qualche rete tv) è arrivata puntuale, di giorno, con la luce giusta, una
bella nuvola di mattoni, coppi e polvere, perfino con
il sonoro di un
sommesso boato e le grida della gente. Ecco, questo della Bassa emiliana
è stato il terremoto in diretta, con una attenta regia della natura.
Scarso il contributo di attori, generici e comparse. La gente emiliana
non fa scene, non piange, non strilla. Si arrabbia se nessuno dà una
mano, si offende se qualcuno la pietisce, si arrotola le maniche e
comincia a lavorare, con orgoglio e buona volontà (fin troppo presto: ma
chi poteva prevedere che invece delle normali piccole scosse di
assestamento sarebbe arrivato un secondo terremoto?). Facce asciutte. I
pochi che strillavano e piangevano erano marocchini o indiani. Più che
giustificati, naturalmente, ma a ciascuno il suo. La televisione ha
parlato di Emilia-Romagna. Questa è Emilia (la Romagna è un’altra roba),
con un pezzetto dell’Oltrepo lombardo. Precisamente la Bassa. Regione
non segnata sulle carte. Geograficamente la sponda destra del Po, giù
fin verso le città che furono le piccole splendide capitali del
Rinascimento: Ferrara, Mirandola, Correggio, Modena, Carpi, Reggio,
Parma. Il terremoto ha colpito soprattutto la Bassa ferrarese e
modenese. Ma più che dalla geografia, si capisce la Bassa dalla
letteratura: è la terra raccontata da Cesare Zavattini, da Giovannino
Guareschi (a proposito, anche la chiesa di Brescello, quella di Don
Camillo, è stata danneggiata), da Antonio Delfini. Specialmente
campagna, ma anche fabbriche. L’ha descritta bene Delfini: «Da poco era
entrato in quella parte della pianura, chiamata la Bassa, la cui
vegetazione rigogliosa, coi campi simmetricamente divisi da lunghi
filari di alberi vitati, e di tanto in tanto cosparsi di pioppe
cipressine, dà l’idea di un’enorme infinita città signorile, mai apparsa
e mai distrutta, la cui fondazione venne rimandata migliaia di anni fa a
epoca migliore a tempi più felici». Riguardo gli uomini (e le donne)
cito il mio L’Osteria della Fola: «In quella contrada sontuosa e
terragna che tradizionalmente è detta la Bassa, vive una stirpe di
uomini che sa tenere i piedi bene dentro la propria terra e la testa tra
le nuvole, magari fino a sfiorare la luna». Gente abituata a farsi
rispettare, ad accogliere e aiutare gli altri, con generosità. Che non
vuole elemosine, e che non vuole essere dimenticata.
Giuseppe Pederiali
Guastalla: verifiche al campanile dell'ex Chiesa di San Carlo |
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