lunedì 8 aprile 2013
Quando nel Po si pescavano i Pescigatto
Decimato da malattie e nuove specie ittiche,
il Pescegatto è divenuto il simbolo
del cambiamento del Grande Fiume;
ma se cambia un elemento del territorio come il Po, è inevitabile che muti la società e la cucina che intorno al fiume si è sviluppata.
Una volta, appena mezzo secolo fa, il Po era diverso; le sue acque erano “bionde” e non era raro ammirare nelle sue golene le lanche.Erano bellissime, le lanche, spazi golenali dove il fiume riusciva a trovare un freno durante le ondate di piena, riempiendo grandi avvallamenti più o meno naturali del terreno, tra la riva del fiume e l’argine maestro; e avevano nomi particolari questi lagoni che, con il ritiro delle ondate di piena, rimanevano pieni d’acqua per mesi e mesi: nella Bassa, tra Parma e Reggio, tra Mezzani e Brescello, una di queste lanche si chiamava la “Lanca di Gaetano”. Era enorme e aveva un colore spettacolare; blu oltremare, perchè oltre che raccogliere l’acqua delle piene del Po, riceveva alimentazione dalle sorgive che scendono dagli appennini. Un’altra lanca, ancora visibile, è quella della “Parma Morta”, a Mezzani, al centro di un progetto di tutela e valorizzazione ambientale.
La caratteristica ambientale delle lanche era semplice; quando il Po saliva di livello, le acque uscivano dal letto del fiume e raggiunevano le buche scavate dall’uomo o dalla corrente del Po, riempiendole d’acqua e formando così le lanche, in cui rimaneva intrappolata una buona quantità di pesce. Tinche, Cavedani, Barbi, Carpe; tutto finiva nella lanca e vi rimaneva fino alla prossima piena.
Il re della lanca era il Pescegatto, insiema alla Carpa; e questo per il semplice motivo che questa specie ittica, pur non essendo autoctona, aveva ritrovato il proprio ambiente nelle acque e nel fango dell’Eridanus, pur senza mettere in discussione le altre specie ittiche originarie.
Il Pescegatto è stato introdotto dall’America del Nord, tra la fine dell’Ottocento e il principio del Novecento; gli esemplari di questa specie, Ictalurus melas, difficilmente superano il chilo e hanno caratteristiche familiari ai vecchi pescatori del fiume: corpo tozzo e privo di squame, muso appiattito e con grandi baffi, colore verde oliva sui fianche e ventre giallo oro. Ma soprattutto una carne buonissima, che ha scatenato le capacità culinarie delle cuoche rivierasche.
Ma perché il Pescegatto è sbarcato sul Po?
Nella Bassa è sempre stata lavorata la canapa, per i più diversi utilizzi; durante la lavorazione di questa fibra, una fase prevede la macerazione del prodotto grezzo. E nel corso della macerazione si sviluppavano delle larve, che mettevano in pericolo la lavorazione. Per questo motivo, si pensò di introdurre un pesce che potesse letteralmente divorare queste larve; ed ecco arrivare il Pescegatto, che da “pesce da lavoro”
in breve tempo venne apprezzato anche come “pesce da tavola”. A partire dagli anni Settanta, però, il Pescegatto ha avuto vita grama, arrivando quasi all’estinzione dalle rive del Po.
Inanzitutto perché è cambiato il fiume, o meglio le golene, le quali hanno smesso lo stato naturale di zone di governo delle piene e, salvo rare e tutelate eccezioni, hanno lasciato il posto ai pioppeti.
Il terreno è stato quindi livellato e la golena è diventata nè più nè meno che territorio agricolo, industriale oltretutto; è così scomparso l’habitat naturale del Pescegatto, che prediligeva l’acqua calma e stagnante delle lanche, per riprodursi e svilupparsi.
Ma anche la nascita della pesca sportiva ha avuto il suo peso; il Pescegatto “nostrano” raramente supera il chilo, arrivado al massimo a un chilo e mezzo. Le nuove specie di Pescegatto, invece, raggiungono tranquillamente i tre chili, come nel caso del Pescegatto africano; e questo ha scatenato i “lanci” di Pescigatto d’importazione nei laghetti dove veniva praticata la pesca sportiva.
Il salto dai laghetti di pesca ai canali e al Po è sempre molto facile, per tutti i pesci; e così le nuove specie hanno guadagnato il territorio dove si era sviluppato tranquillamente il piccolo Pescegatto nostranizzato, portando malattie per le quali il nostro amico commestibile non era immunizzato.
Il resto l’hanno fatto altre specie alloctone, come il Siluro del Danubio o il Gambero della Luisiana;
e ultimamente addirittura i Piranha.
Da non trascurare l’inquinamento delle acque, che ha decimato molte delle specie che da sempre vivevano sul Po; un caso su tutti,
il Persico Luna, un bellissimo pesce rotondo che per i suoi colori verde e azzurro poteva essere scambiato, dai meno esperti, per un pesce tropicale.
Una volta c’erano i pescatori professionali, sul Po, che uscivano con le barche per mettere in acqua le nasse e per gettare i tramagli; vivevano rivendendo il pesce d’acqua dolce pescato nel Po e nei suoi affluenti, oppure nelle lanche.
Oggi il Grande Fiume antropizzato dalla corsa al progresso “a-tutti-i-costi” è diventato un torrente, dove la corrente corre forte verso il mare, portando via per sempre tutto quello che rientra nei suoi gorghi: e con i pescatori del Po si è portato via le ricette e la bontà del pesce d’acqua dolce.
Donato Ungaro
da: water(ON)line
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